Fattori economici legati all'arrivo della peste 

 

L’Italia dopo la rinascita dei primi secoli posteriori al mille, si apprestava a diventare una delle più importanti zone di produzione di cultura, di ricchezza, e di arte, tanto da arrivare ad essere la nazione guida nell’Europa Rinascimentale.

Ma lo sviluppo che l’avrebbe portata a prevalere sulle concorrenti: Inghilterra, Germania, Spagna non fu così lineare come sembrerebbe essere; anzi l’unità nazionale degli Stati limitrofi, paragonata alla eccezionale frammentarietà del territorio italiano fanno subito comprendere quale fu l’ambiente in cui nacque quella grande cultura rinascimentale: sì perché le divisioni fra le città e gli staterelli furono croce e delizia di un’economia fortemente concorrenziale, che quindi traeva vantaggio da questi contrasti anche a livello politico; d’altra parte non vi fu una città in grado di prevalere sulle altre, il che avrebbe permesso una difesa dei territori che, si rivelò in seguito, era al contrario alquanto blanda. (vedi cartina)

Ma la frantumazione politica non fu l’unico male che afflisse l’Italia trecentesca: da annoverare assieme ad altri sono appunto il calo demografico, la crisi economica e un’epidemia che, dall’Oriente, colpì tutta l’Europa: LA PESTE.

Tra la fine del XIII sec. E l’inizio del XIV, l’Italia aveva raggiunto l’optimum demografico. Da calcoli effettuati da grandi storiografi moderni, basati sui censimenti comunali dell’epoca, si capisce chiaramente come la popolazione abbia subito una flessione non indifferente proprio negli anni che vanno dal 1300 al 1350, periodi di grande crisi in tutti i settori:

 

Anno

1000

1100

1200

1300

1350

1400

1450

1500

1550

1600

1650

Mil.

5

6,5

8,5

11

8

8

8.8

10

11,6

13,3

11,5

 

Si può facilmente osservare come, dopo il calo demografico dovuto fra l’altro alla peste del 1348, ci vollero ben due secoli per raggiungere il numero di abitanti del 1300.

Ma non si può attribuire alla sola epidemia del 1348 tutta quella quantità di morti, bisogna invece chiedersi se questo sia stato un caso o una specie di fiammata di ritorno dell’economia e della crescita demografica rapidissima, che porterà ad avere squilibri economici elevatissimi tra le diverse classi sociali: da un lato una classe di mercati spregiudicati che, con qualche buon affare, riusciva a garantirsi buoni capitali; dall’altra una massa di poveri, che viveva in luoghi (definirle case è troppo) malsane, esposta quanto mai a enormi rischi di contagio. Non a caso le prime manifestazioni del morbo della peste si ebbero nelle città come Genova e Venezia, dove fu portato dai marinai, città ove i problemi igienici erano ancora più profondi. Ma le grandi date, come il 1348, sono esclusivamente convenzionali; dopo un’epidemia, infatti, le condizioni sempre peggiori di povertà, fame, sporcizia, portavano altre epidemie: a Padova se ne segnalano cinque nell’arco di soli cinquant’anni (1348-1361-1373-1388-1399), in Friuli addirittura sette in Sicilia cinque. Sembra quasi un ciclo: dopo pochi anni da un’epidemia il morbo si ripresentava, ancora più pronto a mietere nuove vittime, per poi spegnersi o meglio assopirsi per altri 10/15 anni. E ciò in una serie di reazioni a catena, che portavano da un’epidemia ad una carestia e via di seguito. Ma gli stessi contagi, che oggigiorno sarebbero forse attutiti, con i mezzi del tempo venivano solo blandamente contrastati: e siccome la medicina non riusciva a combatterli adeguatamente, il popolo si aggrappava a superstizioni, riti magici, da ricollegarsi addirittura a tradizioni precristiane, fino a raggiungere vere e proprie fobie di massa: tipico è il caso degli untori.

Le cause sono però ancora più complesse: per esempio è difficile pensare come il crollo demografico, che, come si vedeva nel grafico, si ha tra il 1300 ed il 1350, sia da attribuire alla sola epidemia del 1348. Rivedendo i dati delle popolazioni delle singole città si nota come spesso la parabola discendente comincia addirittura prima del 1328:

Anno

1200

1260

1280

1300

1328

1347

Pop. Firenze

50.000

75.000

85.000

90.000

86.000

76.000

 

La stessa nuova cinta muraria di Firenze, la cui costruzione era cominciata nel 1284, sembra, solo pochi anni dopo "una testimonianza di una precedente espansione che aveva creato i presupposti per quintuplicare la grandezza dell’anello delle seconde mura, espansione arrestatasi nei primi del trecento".

E il regresso non si ferma alle città; alcuni hanno addirittura azzardato cifre: sembra infatti che tra il 1290 e il 1332 le famiglie del sangimignanese abbiano subito una flessione dell’8%, e nel territorio di Volterra si registra addirittura la scomparsa del 12% degli insediamenti rurali. Ma le cifre non sono solo queste: in Toscana tra i secoli XIV e XV ben il 10% dei villaggi scompare, e nel periodo corrispondente nella campagna romana ben il 25% e addirittura il 50% il Sardegna; nella regione tra Foggia e Manfredonia scompaiono, sempre il quel periodo, 34 chiese con tutto l’abitato circostante su 64 esistenti; in Calabria, poi, su 393 centri nel 1273, se ne ritrovano solo 45 nel 1505. In Basilicata, sempre in quegli anni, si passa da 150 a 97 "terre", e nel contado pistoiese i Comuni variano dal 1250 al 1400 da 124 a soli 44.

Non bisogna comunque pensare a una totale eliminazione fisica dei contadini: tanti, pur sopravvivendo, dovettero però emigrare, lasciare le ormai desolate carcasse di ciò che erano paesi, cittadine, borghi, monumenti alla presunzione di chi credeva di potersi ingrandire a proprio piacimento, senza tenere conto dei limiti di ogni società, e soprattutto delle società di quell’epoca, legate quanto mai all’agricoltura e quindi suscettibili di ampie crisi dovute alle carestie, alle variazioni climatiche, alle rendite delle colture (in genere attestate sul 1:3). Addirittura le monete ne risentono: per esempio i "denarii mariis" (moneta genovese), che nel 1284 valevano 12.250 lire, solo nel 1334 ne valevano 5.800, per poi passare nel 1371 a 9.900 fino a raggiungere, nel 1400, 3.600 lire.

Riassumendo è abbastanza catastrofico in declino monetario genovese, e la sua moneta, nell’arco di 45 anni (tra il 1290 e il 1335), a causa di un deficit disastroso, si svaluta addirittura del 40%. E la sua rivale Venezia non se la passa meglio di certo: il numero delle unità componenti i convogli di galere organizzate dallo stato passa da 25 a 16; le unità impiegate per i commerci con Londra e Bruges sono, poi, nel 1332 dieci, nel 1356 sei, nel 1392 due. E le importazioni, che avevano fatto dell’Italia un centro di smistamento non indifferente, crollano: Lucca, la capitale della seta passò da 125.000 libbre di tessuto esportate annualmente attorno al 1335 alle 50.000 del 1341.

Concludendo, come si può capire abbastanza facilmente dai dati, la peste del 1348 fu quasi un evento annunciato: l’economia dopo una fase di stasi, si era avviata a una lenta ma inesorabile crisi evidenziata dal calo demografico, dalla svalutazione del denaro, dall’abbandono delle campagne, in che fu ulteriormente acuito dalla grande pestilenza che si sarebbe abbattuta impietosamente sulle popolazioni europee ed in particolare italiane.