- Scrittura
- Lettura dei codici
SCRITTURA
Ci voleva una montagna di carte e documenti per governare un impero
così vasto. Tutto questo lavoro veniva svolto da quei sacerdoti
che avevano studiato per diventare scribi.. Tracciavano mappe, compilavano
gli elenchi dei tributi e tenevano la documentazione dell’attività
legislativa. Ogni clan aveva il suo catasto e ogni tempio i suoi testi
sacri.
La carta era fabbricata con la corteccia del fico selvatico, tenuta
a macerare e poi pressata in fogli. Veniva ricoperta di una vernice gessosa
e incollata in strisce lunghe fino a 11 m. Il libro era piegato a fisarmonica
e scritto su entrambe le facce.
LA LETTURA DEI CODICI
Gli Aztechi non avevano un alfabeto, e per scrivere usavano delle immagini
o glifi. Un libro Azteco quindi è un insieme di disegnini
e per imparare a leggerli ci voleva un lungo studio. Per indicare che qualcosa
era molto lontano, lo disegnavano vicino al margine superiore della pagina.
Se un uomo era rappresentato più grande di un altro, significava
che era più importante. Per indicare una persona che parla usavano
delle virgolette azzurre che uscivano dalla bocca. Una fila di orme significava
che una persona stava dirigendosi verso qualche luogo, la notte era rappresentata
con delle stelle.
UN GRANDE PATRIMONIO LETTERARIO
Ultimi venuti sull'altopiano del Messico ed eredi di civiltà
anteriori, anche notevolmente sviluppate (Toltechi e Mixtechi, in particolare),
gli Aztechi diedero opere originali, sia alle lettere sia alle arti. Il
nahuatl era ed è tuttora una lingua agile e ricca, adatta per la
sua struttura grammaticale e la fonologia ai parallelismi, alle assonanze
e alla retorica "fiorita" e pertanto ai discorsi e alla poesia. Inoltre
gli Aztechi, che possedevano un'acuta sensibilità musicale, associarono
sempre la musica e la danza alla recitazione dei poemi (il termine cuicaní
designava al tempo stesso il poeta e il cantore). Esistevano "case del
canto" destinate alla formazione dei poeti-cantori e concorsi di poesia
dotati di ricchi premi. Comune era l'uso di declamare poemi alla fine dei
banchetti, alla corte e presso le famiglie aristocratiche; molto praticata
era anche la poesia corale, a più voci, con prefigurazioni di dialogo
drammatico. Alti personaggi, come Nezahualcoyotl, re di Texcoco, non disdegnavano
di comporre versi e musiche. Di molta stima godeva anche l'arte oratoria,
e tutte le cerimonie pubbliche e private erano sempre accompagnate da discorsi,
ammonimenti degli anziani, esortazioni morali, ecc.; e pure largamente
coltivate furono la prosa storica (annali pittografici) e quella didattico-narrativa,
con particolare predilezione per la favola, l'aneddotica umoristica e il
racconto mitologico. Resti di questa ricca tradizione esistono tuttora
presso molte tribù indigene messicane, e le ricerche di studiosi
come A. M. Garibay hanno riportato in luce molti testi dell'antica letteratura
azteca: poemi religiosi e cosmogonici, spesso oscuri perché irti
di metafore e di allusioni, espressione comunque di un pensiero teologico
ricco ed evoluto; poemi epici in cui si fondevano dati storici e mitologia
(particolarmente importanti quelli intorno a Quetzalcoatl,
il Serpente Piumato); poemi lirici di ogni genere, che cantavano l'amore,
la bellezza della natura e della donna, i fiori, la guerra, la morte, spesso
con eleganza e originalità ammirevoli. Particolarmente belle le
"elegie" di Nezahualcoyotl, che è stato definito il "Leopardi messicano".
Molti altri testi di grande interesse storico e artistico sono stati trascritti
o messi in prosa da cronisti e missionari cristiani subito dopo la Conquista;
in particolare da Bernardino de Sahagún, Toribio de Benavente e
Bartolomé de las Casas. |