LA SCOMMESSA
"Molti fra i libertini sono grandi giocatori, il Méré ha chiesto a Pascal se è possibile una razionalità legata al gioco d’azzardo. (…..) Di qui l’idea di un argomento per quell’ambiente.
Nella dialettica fra l’infinito e il nulla l’uomo è costretto a scegliere e a rischiare la sua vita. Il buon giocatore sa che scelta fare.
INFINITO e NULLA
(…..)
Noi sappiamo che esiste un infinito e ne ignoriamo la natura; poiché sappiamo che è falso che i numeri siano finiti è vero che c’è un infinito numerico. Ma non sappiamo che cos’è: è falso che sia pari, è falso che sia dispari perché, aggiungendovi l’unità, esso non cambia natura. Tuttavia è un numero e ogni numero è pari o dispari.
Perciò si può benissimo ammettere che esiste un Dio senza sapere che cos’è.
Noi conosciamo, dunque, l’esistenza e la natura del finito perché siamo finiti ed estesi come esso. Conosciamo l’esistenza dell’infinito e ne ignoriamo la natura perché ha estensione come noi, ma non limiti come noi.
Non conosciamo, però, né l’esistenza né la natura di Dio perché privo sia di estensione sia di limiti.
Se c’è un Dio è infinitamente incomprensibile perché, non avendo né parti né limiti, non ha nessun rapporto con noi. Siamo, dunque, incapaci di conoscere che cos’è. Così stando le cose, chi oserà tentare di risolvere questo problema?
Non certo noi, che siamo incommensurabili con lui.
Dio esiste o no ?
La ragione qui non può determinare nulla: c’è di mezzo un caos infinito. All’estremità di quella distanza infinita si gioca un giuoco in cui uscirà testa o croce.
Su quale delle due punterete?
Secondo ragione non potete puntare né sull’una né sull’altra; e nemmeno escludere nessuna delle due.
Non accusate, dunque, di errore chi abbia scelto, perché non ne sapete un bel nulla.
Sì, ma scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, ci siete impegnato. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l’errore e l’infelicità. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che dall’altra, poiché bisogna necessariamente scegliere.
Pesiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell’esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla.
Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste.
Siccome c’è uguale probabilità di vincita e di perdita, se aveste da guadagnare solamente due vite contro una, vi converrebbe già scommettere . Ma, se ce ne fossero da guadagnare tre, dovreste giocare; e, dacchè siete obbligato a giocare, sareste imprudente a non rischiare la vostra vita per guadagnarne tre in un giuoco nel quale c’è eguale probabilità di vincere e di perdere. Quand’anche ci fosse un’infinità di casi, di cui uno solo in vostro favore, avreste pure sempre ragione di scommettere uno per avere due; e agireste senza criterio, se, essendo obbligato a giocare, rifiutaste di arrischiare una vita contro tre in un giuoco in cui, su un’infinità di probabilità ce ne fosse per voi una sola, quando ci fosse da guadagnare un’infinità di vita infinitamente beata. Ma qui c’è effettivamente un’infinità di vita infinitamente beata da guadagnare, una probabilità di perdita, e quel che rischiate è qualcosa di finito. Questo tronca ogni incertezza: dovunque ci sia l’infinito, e non ci sia un’infinità di probabilità di perdere contro quella di vincere, non c’è da esitare: bisogna dar tutto. E così, quando si è obbligati a giocare, bisogna rinunziare alla ragione per salvare la propria vita piuttosto che rischiarla per il guadagno infinito, che è altrettanto pronto a venire quanto la perdita del nulla.
A nulla serve dire che è incerto se si vincerà, mentre è certo che si arrischia; e che l’infinita distanza tra la "certezza" di quanto si rischia e "l’incertezza" di quanto si potrà guadagnare eguaglia il bene finito, che si rischia sicuramente, all’infinito, che è incerto.
Non è così: ogni giocatore arrischia in modo certo per un guadagno incerto; e nondimeno rischia certamente il finito per un guadagno incerto del finito, senza con ciò peccare contro la ragione.
C’è, per vero, una distanza infinita tra la certezza di guadagnare e la certezza di perdere. Ma l’incertezza di vincere è sempre proporzionata alla certezza di quanto si rischia, conforme alla proporzione delle probabilità di vincita e di perdita. Di qui consegue che, quando ci siano eguali probabilità da una parte e dall’altra, la partita si gioca alla pari, e la certezza di quanto si rischia è eguale all’incertezza del guadagno. E quando c’è da arrischiare il finito in un giuoco in cui ci siano eguali probabilità di vincita e di perdita e ci sia da guadagnare l’infinito, la nostra proposizione ha una validità infinita. Ciò è dimostrativo; e, se gli uomini sono capaci di qualche verità, questa ne ha una".